Il 27
novembre 2012 è uscito l’ultimo lavoro musicale di Guccini. Ultimo stando alle
sue dichiarazioni. Sono passati quasi tre mesi e in questi giorni ho
scritto qua e là una serie di appunti che ho messo assieme per dar vita a
questa breve recensione.
Sono otto
tracce, non a caso lo stesso numero dei dischi in vinile.
Partiamo da
ciò che ho scritto qui.
Avevo
previsto una “Canzone di notte n. 4” dedicata alla sua Pavana:
Tanta attesa per Canzone di notte n. 4. Considerando che
vive a Pavana, cosa potrà
cantare?
Che va a letto alle 10 con i suoi gattini?
Sarebbe favoloso!
Una chiusura perfetta.
Si tratta di una delle poche previsioni che ho azzeccato. Anzi, Guccini è
andato oltre le mie previsioni descrivendo la “differenza” fra le sue notti di
adesso e quelle di qualche anno fa:
Ehi notte, quante volte ti ho
incontrato
quando tutti eravamo ancora ignari
di quel che ci sarebbe capitato
[…]
La notte la lasciavi scivolare
e poi svaniva con il primo barlume
[…]
Ma tutto cambia e già lo sai
ti gira dentro e fuori la tua età
e allora notte che mi porterai?
rimpianto, noia quiete o verità?
O indifferente a tutto te ne andra,
senza pietà?
Insomma, la notte per Francesco non è più tempo di “tempesta
e di bonacce” ma è adesso “tranquilla”.
Piccola chicca, ha citato il gatto (“ehi
notte, che ti strusci come un gatto”).
Avevo invece scritto che mi aspettavo
Canzoni rimate e magari con una melodia monotoneggiante. E poi
assonanze
con la r, grande
marchio di fabbrica. Giochi linguistici in abbondanza e
qualche attacco duro al "mal costume dei giorni nostri" (senza demagogia!). Non potrà non
parlarci del vino e dei libri letti in questi nove anni. Mi aspetto un addio
con un paio di canzoni allegre,
ironiche e poco originali. Un pezzo
sull'attualità e sulle mode poco sempiterne sarebbe
d'obbligo.
Mi piacerebbe una sua
presa di posizione da questa sinistra disastrosa che governa la
minoranza da almeno vent'anni a
questa parte.
Diciamo che di allegro (o per così dire) c’è “Gli artisti”,
canzone che descrive con una certa leggerezza l’essenza degli artisti. Carina
la chiusura del pezzo: Guccini non si sente un artista e lo chiarisce:
Ah come invidio gli
artisti che vivono nell’utopia
perché anche una vita
infelice si illumina con la fantasia
Io semplice essere umano, costretto a
costretti ideali
sono solo un umile artigiano e volo
con piccole ali
fabbrico sedie e canzoni, erbaggi
amari, cicoria
o un grappolo di illusioni che svaniscono
nella memoria
e non
restano nella memoria.
Non c’è patetismo e nemmeno si piange addosso però. Guccini
si sente vecchio per fare ancora musica, ma non ha la presunzione di sentirsi
un artista nonostante la grande carriera. Bisogna dire che è un disco molto coerente
con la sua personalità.
A dispetto delle mie previsioni ha parlato poco del vino e
dei libri letti; non c’è stato un attacco al "mal costume dei
giorni nostri”.
In compenso
ha ripreso un topos gucciniano: la
notte che addirittura è il titolo di una canzone (“Notti”, appunto). Questo
pezzo come “Canzone di notte n. 4” descrive minuziosamente cosa sia questa parte
della giornata per Guccini. Riporto una strofa eccezionale in cui i pensieri
notturni si materializzano al punto da provarne vergogna di giorno.
Con la coerenza potrai
difenderle
dalla vergogna,
o dare ragione a uno sbaglio,
strapparti di dosso il guinzaglio
o
forse le cancellerai
forse
le canterai
Mi ha colpito trovare il riferimento alla notte in “Quel
giorno d’aprile” sottoforma di ricordo di ideali di sinistra:
E la Russia è una favola
bianca che conosci a memoria
e sogni ogni notte stringendo la sua
lettere breve
Qui la notte assume un significato diverso: un ideale che
purtroppo non ha avuto gli effetti desiderati.
Due canzoni hanno uno sfondo storico. “Quel giorno d’aprile”
è un ricordo al 25 aprile e alla liberazione dal regime.
“Su in collina”, canzone che riprende una vecchia poesia scritta in dialetto bolognese, è uno splendido e commovente spaccato sulla resistenza. Mi sono quasi
commosso nel sentire l’unico verso di rabbia, di invettiva:
Dopo aver maledetto e
aver pianto
l’abbiamo tolto dal filo spinato
sotto la neve, compagni , abbiamo
giurato
che avrebbero pagato tutto quanto
"Che l'avrebbero pagato", è l’unico verso del Guccini “d’attacco”. Per
il resto è un disco molto intimista con una profonda riflessione sulla vita
andata, sulla vecchiaia e sulla morte che incombe.
“L’ultima volta” e “L’ultima Thule” contengono già nel
titolo la parola “ultima” che anticipa il motivo di queste due canzoni e, va da sé, l'addio dalla scena musicale.
“L’ultima volta” è una susseguirsi di ricordi della
giovinezza (il bacio ad una ragazza mai più vista, i sandali nuovi, la madre
che canta); “L’ultima Thule”, che assieme a “Su in collina” è la più bella canzone
di tutto il disco, è la sintesi di tutto il disco.
Guccini si sente solo e dice di non essere più quello che
un tempo lottava giorno dopo giorno per via dell'età e perché molti dei suoi amici sono morti.
Dov’è la ciurma che mi
accompagnava
ee assecondava ogni ribalderia?
Dov’è la forza che ci circondava?
Ora si è spenta ormai, spariva via.
Guardo le vele pendere afflosciate
Con i cordami a penzolar nel vuoto,
che sbatton lenti contro le murate
con un moto continuo, senza scopo
Cosciente della sua età, della vita passata e della
vecchiaia incombente chiude con una strofa struggente:
L’ultima Thule attende e dentro il fiordo
si spegnerà per sempre ogni passione,
si perderà in un’ultima canzone
di me e della mia nave anche il ricordo.
Si tratta di
un album che non incita alla sommossa, non sventola ideali. Un album di congedo
da parte di un settantenne che non vuole più stare al centro della scena
musicale italiana. È un tributo doveroso alla musica cantautorale che così
tanta fama e successo gli ha dato. Un album che descrive una persona che ha
vissuto da protagonista e che a settantatrè anni vuole percorrere altre strade
e non vuole “spiegarci cos’è la libertà”. Un album senza pretese in cui il
ricordo prevale su tutto.
Un album che ribadisce ancora una volta l’onestà intellettuale e la caratura
del personaggio Guccini.
Grazie
Francesco.
Francès