sabato 16 febbraio 2013

L’ultima Thule, recensione

Il 27 novembre 2012 è uscito l’ultimo lavoro musicale di Guccini. Ultimo stando alle sue dichiarazioni. Sono passati quasi tre mesi e in questi giorni ho scritto qua e là una serie di appunti che ho messo assieme per dar vita a questa breve recensione.
Sono otto tracce, non a caso lo stesso numero dei dischi in vinile.
Partiamo da ciò che ho scritto qui.
Avevo previsto una “Canzone di notte n. 4” dedicata alla sua Pavana:

Tanta attesa per Canzone di notte n. 4. Considerando che 
vive a Pavana, cosa potrà cantare?
Che va a letto alle 10 con i suoi gattini? Sarebbe favoloso! 
Una chiusura perfetta.

Si tratta di una delle poche previsioni che ho azzeccato. Anzi, Guccini è andato oltre le mie previsioni descrivendo la “differenza” fra le sue notti di adesso e quelle di qualche anno fa:

                          Ehi notte, quante volte ti ho incontrato
                          quando tutti eravamo ancora ignari
                          di quel che ci sarebbe capitato
                          […]
                          La notte la lasciavi scivolare
                          e poi svaniva con il primo barlume
                          […]
                          Ma tutto cambia e già lo sai
                          ti gira dentro e fuori la tua età
                          e allora notte che mi porterai?
                          rimpianto, noia quiete o verità?
                          O indifferente a tutto te ne andra,
                          senza pietà?

Insomma, la notte per Francesco non è più tempo di “tempesta e di bonacce” ma è adesso “tranquilla”.  Piccola chicca, ha citato il gatto (“ehi  notte, che ti strusci come un gatto”).
Avevo invece scritto che mi aspettavo

Canzoni rimate e magari con una melodia monotoneggiante. E poi assonanze
con la r, grande marchio di fabbrica. Giochi linguistici in abbondanza e 
qualche attacco duro al "mal costume dei giorni nostri" (senza demagogia!). Non potrà non parlarci del vino e dei libri letti in questi nove anni. Mi aspetto un addio con un paio di canzoni allegre, 
ironiche e poco originali. Un pezzo sull'attualità e sulle mode poco sempiterne sarebbe 
d'obbligo.
Mi piacerebbe una sua presa di posizione da questa sinistra disastrosa che governa la 
minoranza da almeno vent'anni a questa parte. 

Diciamo che di allegro (o per così dire) c’è “Gli artisti”, canzone che descrive con una certa leggerezza l’essenza degli artisti. Carina la chiusura del pezzo: Guccini non si sente un artista e lo chiarisce:
                              
Ah come invidio gli artisti che vivono nell’utopia
            perché anche una vita infelice si illumina con la fantasia
                        Io semplice essere umano, costretto a costretti ideali
                        sono solo un umile artigiano e volo con piccole ali
                        fabbrico sedie e canzoni, erbaggi amari, cicoria
                        o un grappolo di illusioni che svaniscono nella memoria
                        e non restano nella memoria.

Non c’è patetismo e nemmeno si piange addosso però. Guccini si sente vecchio per fare ancora musica, ma non ha la presunzione di sentirsi un artista nonostante la grande carriera. Bisogna dire che è un disco molto coerente con la sua personalità.  
A dispetto delle mie previsioni ha parlato poco del vino e dei libri letti; non c’è stato un attacco al "mal costume dei giorni nostri”.
 In compenso ha ripreso un topos gucciniano: la notte che addirittura è il titolo di una canzone (“Notti”, appunto). Questo pezzo come “Canzone di notte n. 4” descrive minuziosamente cosa sia questa parte della giornata per Guccini. Riporto una strofa eccezionale in cui i pensieri notturni si materializzano al punto da provarne vergogna di giorno.

                        Con la coerenza potrai
                        difenderle dalla vergogna,
                        o dare ragione a uno sbaglio,
                        strapparti di dosso il guinzaglio
                        o forse le cancellerai
                        forse le canterai

Mi ha colpito trovare il riferimento alla notte in “Quel giorno d’aprile” sottoforma di ricordo di ideali di sinistra:
                              
                        E la Russia è una favola bianca che conosci a memoria
                        e sogni ogni notte stringendo la sua lettere breve

Qui la notte assume un significato diverso: un ideale che purtroppo non ha avuto gli effetti desiderati.
Due canzoni hanno uno sfondo storico. “Quel giorno d’aprile” è un ricordo al 25 aprile e alla liberazione dal regime.
“Su in collina”, canzone che riprende una vecchia poesia scritta in dialetto bolognese, è uno splendido e commovente  spaccato sulla resistenza. Mi sono quasi commosso nel sentire l’unico verso di rabbia, di invettiva:
               
                       Dopo aver maledetto e aver pianto
                       l’abbiamo tolto dal filo spinato
                       sotto la neve, compagni , abbiamo giurato
                       che avrebbero pagato tutto quanto

"Che l'avrebbero pagato", è l’unico verso del Guccini “d’attacco”. Per il resto è un disco molto intimista con una profonda riflessione sulla vita andata, sulla vecchiaia e sulla morte che incombe.
“L’ultima volta” e “L’ultima Thule” contengono già nel titolo la parola “ultima” che anticipa il motivo di queste due canzoni e, va da sé, l'addio dalla scena musicale.
“L’ultima volta” è una susseguirsi di ricordi della giovinezza (il bacio ad una ragazza mai più vista, i sandali nuovi, la madre che canta); “L’ultima Thule”, che assieme a “Su in collina” è la più bella canzone di tutto il disco, è la sintesi di tutto il disco. 
Guccini si sente solo e dice di non essere più quello che un tempo lottava giorno dopo giorno per via dell'età e perché molti dei suoi amici sono morti.

                        Dov’è la ciurma che mi accompagnava
                        ee assecondava ogni ribalderia?
                        Dov’è la forza che ci circondava?
                        Ora si è spenta ormai, spariva via.                  
                        Guardo le vele pendere afflosciate
                        Con i cordami a penzolar nel vuoto,
                        che sbatton lenti contro le murate
                        con un moto continuo, senza scopo

Cosciente della sua età, della vita passata e della vecchiaia incombente chiude con una strofa struggente:

L’ultima Thule attende e dentro il fiordo
si spegnerà per sempre ogni passione,
si perderà in un’ultima canzone
di me e della mia nave anche il ricordo. 

Si tratta di un album che non incita alla sommossa, non sventola ideali. Un album di congedo da parte di un settantenne che non vuole più stare al centro della scena musicale italiana. È un tributo doveroso alla musica cantautorale che così tanta fama e successo gli ha dato. Un album che descrive una persona che ha vissuto da protagonista e che a settantatrè anni vuole percorrere altre strade e non vuole “spiegarci cos’è la libertà”. Un album senza pretese in cui il ricordo prevale su tutto.
Un album che ribadisce ancora una volta l’onestà intellettuale e la caratura del personaggio Guccini.
Grazie Francesco.

Francès

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