venerdì 20 luglio 2012

La sonata a Kreutzer, storia di un uomo turpe non depravato

Recensire un’opera di Tolstoj è un’operazione molto complessa per tante ragioni. Vuoi che i suoi personaggi hanno varie sfaccettature, vuoi che usava i suoi romanzi per lavorare molto su se stesso, vuoi che fu irrequieto per tutta la vita cambiando spesso idee e posizioni su varie tematiche. Insomma, dall’odore della guerra ad una visione cristiana del mondo il passo è breve se si legge la biografia di Tolstoj. Il romanzo su cui vorrei spendere un paio di parole è La sonata a Kreutzer
Il titolo è tratto da un’opera di Beethoven che stimolò molto la mente dello scrittore russo e che sarà la colonna sonora di uno dei delitti più classici del mondo, il delitto passionale. Ho letto il romanzo e subito dopo non ho potuto far a meno di correre ad ascoltare la sonata di Beethoven.
Ciò che più colpisce del romanzo è la narrazione di Pozdnysev, il protagonista dell’evento delittuoso anticipato fin dalle prime pagine. Una narrrazione secca, lucida, accurata, precisa, spesso parziale. Affrontare in questa maniera il matrimonio, la convivenza e la gelosia, elementi cardine di ciò che oggi noi siamo soliti riassumere con amore non è un’impresa scontata, il rischio scadere nel luogo comune è sempre dietro l’angolo. Ma Tolstoj no. Tolstoj non c’è cascato. E direi che non c’è miglior complimento: si contano nelle dita tutti coloro che hanno speculato sull’amore non carnale, l’amore quello sentimentale. Non è una storia incalzante, è riflessiva. Non è un giallo o un thriller, tutto è già accaduto e il protagonista è già passato ai commenti di ciò che ha fatto. Cito un passo per far capire con quale facilità Pozdnysev riesca a dare delle spiegazioni di alto spessore incastonandole nei fatti della sua vita:

La depravazione non sta in qualcosa di fisico, perché infatti nessuna turpitudine fisica è depravazione;
 la vera depravazione è proprio volersi liberare dei legami morali con la donna con cui si ha un rapporto 
fisico. Ricordo quanto ho penato una volta per non essere stato in grado di offrire del denaro a una 
donna che probabilmente si era data a me per amore. Ho trovato pace solo quando sono riuscito
 a mandarle dei soldi, ribadendo con ciò che non ritenevo di avere vincoli morali nei suoi confronti.

La grandezza di Tolstoj sta nel fatto che io sono qua a parlare di lui senza non avere ancora citato le  sue due grandi opere. Può sembrare una banalità o una leccata di culo. Non è così e chiarisco subito il perché a scanso di equivoci. Dei grandi narratori, Tolstoj, secondo le mie preferenze, si trova una spanna sotto Hemingway e Dostoevskij. E colgo l’occasione per scrivere cosa non mi è piaciuto di questo romanzo: la Postfazione dell’autore. Tolstoj aveva questa visione saggistica della narrativa. Condivisibile, per carità. Però questa postfazione ti toglie tutti i dubbi al lettore. Dubbi scaturiti da cento e passa pagine riassunti sotto un unico tetto: il cristianesimo. Questa cosa non mi è piaciuta e non solo perché non sono d’accordo con la visione filosofico-teologica di Tolstoj.

Adesso chiudo il post e rimetto Beethoven.
Francès

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