Il titolo è tratto da un’opera di Beethoven che stimolò
molto la mente dello scrittore russo e che sarà la colonna sonora di uno dei delitti
più classici del mondo, il delitto passionale. Ho letto il romanzo e subito
dopo non ho potuto far a meno di correre ad ascoltare la sonata di Beethoven.
Ciò che più colpisce del romanzo è la
narrazione di Pozdnysev, il protagonista dell’evento delittuoso anticipato fin
dalle prime pagine. Una narrrazione secca, lucida, accurata, precisa, spesso parziale. Affrontare in
questa maniera il matrimonio, la convivenza e la gelosia, elementi cardine di ciò che oggi noi siamo soliti
riassumere con amore non è un’impresa
scontata, il rischio scadere nel luogo comune è sempre dietro l’angolo. Ma Tolstoj
no. Tolstoj non c’è cascato. E direi che non c’è miglior complimento: si
contano nelle dita tutti coloro che hanno speculato sull’amore non carnale, l’amore
quello sentimentale. Non è una storia
incalzante, è riflessiva. Non è un giallo o un thriller, tutto è già accaduto e
il protagonista è già passato ai commenti di ciò che ha fatto. Cito un passo
per far capire con quale facilità Pozdnysev riesca a dare delle spiegazioni di
alto spessore incastonandole nei fatti della sua vita:
La
depravazione non sta in qualcosa di fisico, perché infatti nessuna turpitudine fisica
è depravazione;
la vera depravazione è proprio volersi liberare dei legami morali con la donna con cui si ha un rapporto
fisico. Ricordo quanto ho penato una volta per non essere stato in grado di offrire del denaro a una
donna che probabilmente si era data a me per amore. Ho trovato pace solo quando sono riuscito
a mandarle dei soldi, ribadendo con ciò che non ritenevo di avere vincoli morali nei suoi confronti.
la vera depravazione è proprio volersi liberare dei legami morali con la donna con cui si ha un rapporto
fisico. Ricordo quanto ho penato una volta per non essere stato in grado di offrire del denaro a una
donna che probabilmente si era data a me per amore. Ho trovato pace solo quando sono riuscito
a mandarle dei soldi, ribadendo con ciò che non ritenevo di avere vincoli morali nei suoi confronti.
La grandezza di Tolstoj sta nel fatto che
io sono qua a parlare di lui senza non avere ancora citato le sue due grandi opere. Può sembrare una
banalità o una leccata di culo. Non è così e chiarisco subito il perché a
scanso di equivoci. Dei grandi narratori, Tolstoj, secondo le mie preferenze,
si trova una spanna sotto Hemingway e Dostoevskij. E colgo l’occasione per
scrivere cosa non mi è piaciuto di questo romanzo: la Postfazione dell’autore. Tolstoj aveva questa visione saggistica
della narrativa. Condivisibile, per carità. Però questa postfazione ti toglie
tutti i dubbi al lettore. Dubbi scaturiti da cento e passa pagine riassunti sotto un unico tetto: il
cristianesimo. Questa cosa non mi è piaciuta e non solo perché non sono d’accordo
con la visione filosofico-teologica di Tolstoj.
Adesso chiudo il post e rimetto
Beethoven.
Francès