Innanzitutto mi disturba il suo modo perbenista e il suo tono buonista di approcciarsi con il pubblico e con le opere oggetto d’analisi. “Vi amo”, “Per me è un’emozione essere qui”, “Dante il miglior poeta mai esistito”, “La Costituzione è la più bella di tutte”, “Siete fantastici”, “Mi batte forte il cuore”, “Vi ringrazio”, “Per me è un onore essere qua”. Bisogna dire basta. Troppi complimenti finiscono per spegnere la ragione in nome di un sentimento non autentico. Personalmente gli taglierei centomila euro dal suo cachet per ogni ammiccamento. La Rai chiuderebbe in attivo la serata. Che a ben pensarci la sua tecnica è uguale e contraria a quella di Grillo: uno fa le carezze, l’altro manda a ‘fanculo. Il giochino è lo stesso, cambia la forma ma la sostanza...
Un'altra
cosa che mi disturba di Benigni è la totale assenza del suo punto di vista
durante i monologhi. Ogni cosa è bella, straordinaria, aulica, inimitabile. È mai possibile
che di tutta la Divina Commedia e di tutta la Costituzione non ci sia qualcosa
che non gli piaccia o che almeno voglia mettere in dubbio? Ma che razza di
critica è la sua? Bella, grandissima, straordinaria. Mitica, stratosferica. Da impazzire. Mi fa morire dalla gioia. Svengo dalla felicità. E che cazzo! Un po' di ritegno.
Tra l’altro, ciò che dice è talmente impersonale da risultare
quanto mai trasparente. Con la conseguenza che chiunque può impersonarsi nelle sue
parole. Faccio un esempio. Benigni dice che la politica è la più alta delle
cose che può fare una persona; Benigni afferma che tutti dobbiamo essere fieri
di essere italiani; Benigni vuole convincerci che non andare a votare sia
sbagliato a prescindere. Ora, se argomentasse, potrebbe pure avere ragione. Senza un focus, non c’è nessuno che non può immedesimarsi nei suoi discorsi, dal ladro
al poliziotto, dal giudice al politico corrotto, tutti sono invitati alla festa. Populismo, deriva demagogica.
A questo sono arrivati i monologhi di Roberto Benigni. Perché non basta
spiegarci (e tra l’altro pure bene) cosa sia la Costituzione: in un periodo
così delicato, bisogna fare dei distinguo, proprio come ha fatto con il Fascismo. Non abbiamo bisogno di gente che ci fa incazzare (vedi Grillo) o di gente che ci fa incantare (vedi Benigni) o di gente che ci fa sognare (vedi Berlusconi), abbiamo quanto mai bisogno di esempi di normalità. Ci dicono che la democrazia sia il potere consegnato al popolo, allora perché nel 2012 c'è ancora gente che si erge a paladino della giustizia, ad eroe di ciò che è giusto? Perché?
Benigni,
colui che ha sottolineato l’importanza del lavoro, questa sera non ha meritato
il compenso: oltre al lavoro, occorre l’impegno. E la responsabilità. La sua
verve comica è sparita, le sue battute sono ripetitive (la parte sul Medioevo la
fece un anno fa da Fiorello) e prevedibili. Ma, forse, posso capirlo. Lui prepara
di più la parte divulgativa e tralascia gli sketch comici. Passi. Però l’invettiva,
cazzo. Per onorare la Costituzione, Benigni avrebbe dovuto attaccare e puntare
l’indice verso coloro che costantemente tentano di affossarla. E invece niente.
Due battutine su Berlusconi, una su Renzi e via. Vissero tutti felici e
contenti. No. Non vorrei soffocare in un ultimo sussulto sentimentale. Mi sentirei patetico.
Francès
PS: tralascio la discussione sul cachet. Si parla di 6 milioni di euro per questa serata e altre 12 su Dante. Senza una fonte attendibile, sospendo ogni giudizio.